I segreti dell'osservazione visuale

ritratto di g.milani

a cura di Giannantonio Milani

1. Il primo sguardo attraverso un telescopio

Quando acquistiamo un telescopio e lo puntiamo per la prima volta verso il cielo siamo carichi di aspettative. Le belle immagini e descrizioni che abbiamo trovato nei libri, nelle riviste e sul web fanno sperare di poterci affacciare in un mondo meraviglioso con il nostro strumento.  Ed è certamente vero, soprattutto al primo sguardo alla Luna con le sue distese di crateri, così diversi dai paesaggi terrestri e così magici e suggestivi: osservando al telescopio sembra proprio di essere in volo sulla superficie lunare con una astronave! Una “magnifica desolazione” come l’aveva descritta Edin E. Aldrin,  pilota del modulo lunare di Apollo 11.
Gli anelli di Saturno rappresentano spesso il secondo spettacolo, una vera meraviglia! Venere ci stupisce mostrandoci le sue fasi come una piccola Luna e Giove con le sue tenue bande di nubi e i suoi satelliti principali che mutano continuamente di posizione.  
Ma ben presto ci scontriamo con alcuni limiti e ostacoli: per quanto li ingrandiamo i pianeti rimangono delle piccole palline sbiadite. Belli i satelliti di Giove, ma il disco del pianeta  mostra appena poche tenui bande poco marcate. Marte, quando l’apparizione è favorevole, mostra solo qualche vaga ombra e le stelle, anche aumentando a dismisura l’ingrandimento, rimangono soltanto dei piccoli puntini tremolanti. Nebulose a galassie sono in gran parte invisibili, tranne qualche evanescente nuvoletta, quasi un fantasma,  priva di ogni colorazione già per gli oggetti più luminosi ed avara di dettagli evidenti. La galassia M 31 e la nebulosa M42 di Orione sono i più evidenti e facili da osservare, ma la maggior parte delle altre tenui nebulose e galassie rimangono come piccole nuvolette sbiadite, assai diverse dalle belle immagini che vediamo pubblicate abitualmente.

Nonostante questo non mancano osservazioni storiche, effettuate visualmente, ricche di fascino e di dettagli.
Sorge spontanea la domanda: dove sono dunque tutte quelle visioni fantastiche riportate sui libri e riviste? E come hanno fatto gli astronomi del passato  a vedere tante cose utilizzando solamente i loro occhi, spesso con piccoli telescopi,  e delle quali troviamo testimonianza su molte fonti antiche e moderne? Wilhelm Tempel, ad esempio, ha scoperto la debole nebulosità vicino a Merope, nell’ammasso delle Pleiadi, osservando da Venezia con il suo modestissimo telescopio. Ma Tempel ci ha lasciato anche disegni estremamente dettagliati dei pianeti, della Luna, e anche di comete e galassie.

 

disegni della Luna - Tempel

Alcuni disegni della Luna, di comete realizzati da Wihlelm Tempel


A volte i disegni degli osservatori del passato appaiono approssimativi, anche per i limiti imposti dai primi telescopi, ma altre volte potremmo dire che sono talmente precisi da sembrare “quasi delle fotografie”!  E dall’epoca di Galileo fino a poco meno di 200 anni fa l’occhio è stato il solo mezzo per esplorare il cielo attraverso il telescopio.  D’accordo, non c’era il problema dell’inquinamento luminoso, ma i telescopi disponibili oggi sono mediamente di qualità molto più elevata e di maggiori dimensioni di quelli disponibili nei secoli passati. E per i pianeti l’inquinamento luminoso non è un ostacolo.  Dov’è dunque nascosto il nocciolo della questione? Gli osservatori del passato erano dei visionari o, per così dire,  avevano una vista a “raggi X”?

 

 

M42 Tempel

La nebulosa M42 in Orione disegnata da Tempel

 

2. Questione di….

La risposta alla domanda posta prima può suonare forse banale, ma è in realtà abbastanza semplice: prima di tutto è questione di addestramento ed allenamento, oltre che di metodo ed esperienza. Secondariamente può dipendere anche dalla qualità dello strumento, ma questo lo vedremo dopo.

Andiamo intanto a vedere il meccanismo che governa la visione: il nostro occhio (e il nostro cervello) è conformato per operare in condizioni diurne, con luce e contrasto elevati, oltre che a dover spaziare su scene ampie e ricche di dettagli.
Nell’osservazione notturna, ed ancor più al telescopio, l’occhio, e il nostro cervello, si trovano a fronteggiare condizioni di luce e contrasto del tutto innaturali e ad osservare in generale oggetti comunque molto piccoli, per quanto li si ingrandisca (ovviamente a parte la Luna).  

Per comprendere meglio la situazione vediamo un po’ più in dettaglio come funziona il nostro occhio.  
La conformazione è simile a quella di una telecamera: c’è  una lente che funge da obbiettivo (il cristallino) e un diaframma che regola la quantità di luce che entra (l’iride).  Il fondo dell’occhio è tappezzato di elementi sensibili alla luce (coni e bastoncelli) ed ha la stessa funzione di un moderno sensore CCD o CMOS, comunemente usati in fotocamere e telecamere digitali. Il nervo ottico porta al cervello i segnali prodotti dagli stimoli visivi analogamente ai cavi e ai circuiti di una telecamera collegata ad un personal computer o ad un monitor.  Infine il nostro cervello opera  come un software analizzando ed elaborando le immagini.
Coni e bastoncelli hanno funzioni differenti. I primi sono sensibili ai colori e agli elevati livelli di luce e permettono di percepire i dettagli. Sono concentrati soprattutto nel centro della retina.
I bastoncelli occupano invece maggiormente le zone periferiche, non vedono i colori e i dettagli ma hanno la capacità di adattarsi ai bassi livelli di luce e di percepire  il movimento.  

L’adattamento al buio non è immediato e richiede un minimo di 5-10 minuti, ma continua ad aumentare sensibilmente nella prima mezz’ora, e più lentamente in seguito per alcune ore. Se dobbiamo dedicarci all’osservazione di oggetti molto deboli, è consigliabile un adattamento di almeno 20-30 minuti.
E’ esperienza comune che passando da un luogo fortemente illuminato ad uno quasi buio (ad esempio in una grotta) occorrono alcuni minuti prima iniziare a distinguere l’ambiente che abbiamo intorno, e più tempo restiamo nel luogo buio meglio vediamo.  Se si viene però abbagliati da una luce troppo intensa  l’adattamento all’oscurità si perde immediatamente e bisogna nuovamente riabituare la vista.

L’adattamento è già un primo fattore importante  per vedere oggetti deboli. Ma c’è dell’altro: osservando al telescopio si è di fronte spesso a condizioni davvero estreme per il nostro occhio. Ad esempio un pianeta luminoso e abbagliante contro lo sfondo del cielo completamente nero.  Un contrasto altissimo tra oggetto e cielo che si scontra con contrasti invece estremamente bassi e dettagli molto tenui sulla superficie del pianeta stesso.
Ma vi è anche un secondo ostacolo. Si è detto prima che i recettori del nostro occhio che percepiscono i dettagli e i colori sono addensati nella zona centrale della retina dell’occhio. Questa zona corrisponde ad una regione ristretta nel centro del nostro campo visivo.
Di questo ci possiamo accorgere comunemente se fissiamo lo sguardo in un punto: noteremo allora che verso le zone periferiche del campo di vista la quantità di dettagli percepibili diminuisce rapidamente.  Per avere una chiara visione dell’ambiente in cui siamo il nostro occhio compie continuamente rapidi spostamenti dei quali non siamo coscienti,  ma che ci permettono di avere una visione nitida in un campo piuttosto ampio.  Questi rapidi movimenti avvengono continuamente nella vita di tutti i giorni.  E l’occhio li compie istintivamente anche osservando al telescopio. Ma questo è un problema quando si deve osservare la minuscola pallina di un pianeta, che rimane piccolo anche a 150-200 o più ingrandimenti.  L’occhio spazia non solo sul disco del pianeta ma anche intorno disperdendo l’attenzione dove non serve.  

La prima cosa da fare osservando al telescopio è proprio di imparare a fissare lo sguardo in un punto forzando l’occhio a stare fermo e a concentrare la nostra attenzione per un certo tempo solo sul piccolo disco planetario. Non è una cosa istintiva e ci vuole un po’ di pazienza per riuscire a farlo bene.

La seconda cosa importante è osservare a lungo. L’occhio (e il nostro cervello) devono abituarsi e familiarizzare con il livello di luce e i deboli contrasti dei pianeti.

Terzo punto: osservare a lungo anche per superare i limiti della turbolenza atmosferica. Salvo notti particolarmente favorevoli, avremo sempre una agitazione più o meno forte dell’immagine dovuta alla turbolenza dell’aria intorno e sopra di noi. Ma ogni tanto la turbolenza diminuisce o addirittura si arresta per alcuni istanti, o per alcuni secondi. In quei momenti si rendono immediatamente evidenti moltissimi particolari prima non osservabili. Il nostro cervello li memorizza e nei momenti successivi nei quali l’immagine è stabile riusciremo a ritrovarli e percepirli con maggior nitidezza, aggiungendo altri nuovi dettagli.
Quarto punto: l’allenamento. Come in tutte le cose occorre non solo aver la perseveranza di apprendere, ma anche di mantenere allenate costantemente le nostre capacità.

E l’osservazione visuale è un tipo di pratica che richiede il suo tempo per progredire. Quando i pianeti venivano osservati prevalentemente con tecniche visuali era esperienza comune notare come all’inizio di ciascuna apparizione del pianeta, e relativa campagna osservativa, si riuscissero a vedere pochi dettagli. Ma ad ogni successiva serata di osservazione si percepiva un certo progresso e dopo un paio di settimane si iniziavano a raggiungere i livelli di prestazione dell’annata precedente. Da considerare che le sessioni osservative di un pianeta erano necessariamente lunghe (generalmente non meno di un paio d’ore) per poter sfruttare la rotazione del pianeta e per vedere una parte più estesa possibile della superficie o della sua atmosfera.  Osservare in questo modo risulta faticoso sia per l’occhio che per le concentrazione necessaria. E difatti non si stava costantemente con l’occhio incollato all’oculare, ma si intervallava con delle pause.
 
L’esecuzione di un disegno aiutava a registrare i dettagli osservati ma anche costringe ad una maggiore attenzione.
Il disegno (o più disegni nel caso di molte ore di osservazione) veniva eseguito in un tempo relativamente lungo, ma la posizione dei  particolari andavano fissati per un dato momento perché pianeti, in particolare Giove e Saturno, ruotano molto velocemente. A distanza di pochi minuti è già percepibile la loro rotazione!  La posizione esatta (longitudine) dei dettagli non veniva però dedotta dai disegni, ma stimando il tempo di transito al meridiano del pianeta (linea immaginaria che lo divide a metà da Nord a Sud).  Un osservatore esperto è in grado di valutare il tempo di transito con una incertezza complessiva di pochi minuti, il che corrisponde ad una precisione in longitudine di pochi gradi.  

Con opportune tabelle il tempo di transito era poi convertito in longitudine nel sistema di coordinate riferito a Giove.

 


Giove

Disegni di Giove realizzati dall’autore nel 1974 con un rifrattore da 8 cm di apertura. L’osservazione protratta per lungo tempo permette di rilevare molti dettagli e di osservare la rotazione del pianeta mappando un ampio intervallo in longitudine sulla superficie del pianeta. Le osservazioni erano condotte dell’ambito dei programmi della Sezione Pianeti dell’UAI, allora coordinata da Giancarlo Favero.

 

Eseguire un disegno può sembrare un tipo di attività ormai superata, ma è una pratica  che costringe ad osservare a fondo un oggetto e permette di notare particolari che altrimenti sfuggirebbero ad una osservazione frettolosa. Non è una cosa facile. E infatti chi si cimenta in un disegno apprezzerà poi ancora di più l’incredibile abilità degli osservatori del passato.  Già disegnare un pianeta è complicato, ma affrontare la Luna diventa un’impresa davvero difficile per l’enorme ricchezza di dettagli. In questo caso è necessario limitare l’attenzione ad una piccolissima area ed eseguirne uno schizzo o un disegno più o meno dettagliato, a seconda delle condizioni della serata e di quello che vogliamo ottenere.  

Il tipo di disegno può variare a seconda delle preferenze e della propria dimestichezza  con questa tecnica.   Generalmente è preferita la matita su foglio bianco, sfumando poi i dettagli, ma sono efficaci anche schizzi al tratto e c’è chi si cimenta talvolta anche con disegni a colori.   L’illuminazione dovrà essere tenue ma sufficiente a vedere bene il foglio ed il disegno per la Luna e i pianeti,  una luce rossa sarà invece più indicata se si tratta di osservazioni cielo profondo.
Molto importante è cercare di avere una posizione di osservazione comoda. E’ ben difficile mantenere a lungo un elevato livello di attenzione se si è costretti a in posizioni da contorsionisti e scomode che, soprattutto con il freddo e l’umidità notturna, potrebbero procurare facilmente qualche spiacevole acciacco muscolare.  Imperativo quindi essere comodi, anche con un adeguato piano di appoggio per effettuare il disegno!  E avere molta pazienza perché ci accorgeremo che effettuare un buon disegno richiede il suo tempo. Utile poi rifinirlo dopo a tavolino per dargli un aspetto più naturale e fedele alla nostra impressione al telescopio, sempre naturalmente tenendo fede a quanto realmente osservato.

Osservando all’oculare con un occhio è istintivo strizzare l’altro per tenerlo chiuso. E’ bene cercare di non farlo, chiudendo sì l’occhio, ma in modo rilassato. E’ poi utile alternare ogni tanto gli occhi per evitare un eccessivo affaticamento, anche se generalmente noteremo che uno dei due occhi ha una vista più acuta dell’altro.
Una soluzione ideale potrebbe essere una torretta binoculare, per osservare con entrambi gli occhi. Ma, a parte il costo, non è sempre semplice adattarla a tutti i tipi di telescopio.


2. Il profondo cielo

Fin qui però abbiamo parlato di oggetti luminosi come i pianeti. Me cosa accade quando osserviamo oggetti deboli, come galassie, nebulose, comete? Le cose qui si complicano ulteriormente in primo luogo perché un requisito importante è disporre di un bel cielo buio e limpido. In secondo luogo perché l’occhio è qui spinto ad un limite ancora più estremo che nell’osservazione dei pianeti.  Occorre un buon adattamento al buio (non meno di 20-30 minuti) evitando poi qualunque abbagliamento da fonti di luce intense.
Si aggiunge poi un problema: in queste condizioni estreme i recettori in gioco sono per lo più i bastoncelli, non sensibili ai colori e sensibili invece al movimento. Ci troviamo di fronte al paradosso che (come per i pianeti) ci imporrebbe di fissare lo sguardo in un punto, ma così facendo, essendo i bastoncelli preposti a rilevare il movimento, dopo un po’ di tempo….non vedono più nulla. Se fissiamo lo sguardo troppo a lungo le stelline più deboli sembreranno infatti scomparire.  Bisogna quindi “stuzzicare” l’occhio spostando ogni tanto di poco lo sguardo (es. ogni 10 - 20 secondi) .  In questo modo si evita anche il problema dovuto alla macula lutea, una piccola zona della nostra retina completamente cieca, corrispondente al punto di attacco del nervo ottico. Se fissiamo lo sguardo e un oggetto cade in quel punto, non lo vediamo.  Nell’osservazione diurna non ce ne accorgiamo proprio perché l’occhio si muove continuamente per cogliere più dettagli possibili e il nostro cervello sorprendentemente elabora le immagini rimuovendo questo ed altri difetti.

Per scoprire la vostra macula lutea però potete fare un semplicissimo esperimento: osservate i due punti neri disegnati nella figura che segue: chiudete un occhio, ad esempio il sinistro, e osservate con l’occhio destro  fissando il punto di sinistra.  Sempre fissando attentamente solo quel punto allontanatevi e avvicinatevi dal foglio (o dal monitor), spostandovi lentamente avanti e indietro (facendo attenzione che i due punti rimangano in orizzontale): vedrete che in corrispondenza di una certa distanza  (indicativamente 30 cm) il puntino di destra, come per magia, scomparirà completamente. Avrete allora localizzato la vostra macula lutea. L’esperimento può naturalmente essere effettuato in modo simmetrico con l’altro occhio.

 

macchia lutea

 

Nell’occhio umano il tempo di integrazione della luce (formazione delle immagini) è intorno a 1/20 di secondo, ma  alcune esperienze nell’osservazione notturna sembrerebbero suggerire che l’occhio riesca ad integrare la luce anche più a lungo, secondo alcuni osservatori  anche fino a qualche secondo di tempo. Ovvero lo stimolo luminoso può aumentare leggermente per un breve tempo se fissiamo un oggetto debole al telescopio. Difficile dire in realtà se sia un reale effetto di integrazione dello stimolo o se sia il nostro cervello che riesce a fissare meglio le immagini osservando per più tempo. Comunque sia un guadagno sembra esserci.

Per osservare deboli nebulose, galassie, ammassi stellari…, oltre al diametro del telescopio e alla qualità del cielo vanno testati vari ingrandimenti. Oggetti diversi, per tipologia, dimensioni apparenti, luminosità, saranno meglio visibili ciascuno con un differente ingrandimento.  Bisogna quindi provare sul campo qual è la combinazione ottimale.
L’oculare preferibilmente dovrà essere di buona qualità, ma non sono necessari tipi particolari. Sono di gran moda oculari con un campo di vista molto ampio, spettacolari se osserviamo ammassi stellari o campi ricchi di stelle. Ma ricordiamo quanto detto sul funzionamento dell’occhio: un campo troppo ampio potrebbe distrarre l’attenzione e far compiere troppi spostamenti all’occhio, e in certi casi questo è particolarmente dannoso.  Se ciò che ci interessa è osservare un oggetto specifico di piccole dimensioni apparenti è sufficiente un normale oculare che ci dia una visione ben nitida, indipendentemente dal campo apparente mostrato.
Ricordiamo poi che le belle nebulose colorate che troviamo in fotografia ci appariranno in bianco e nero. Solo in pochissimi casi, ed osservando soprattutto con strumenti di grande diametro e comunque superiore almeno a 20-25 cm di apertura,  potremo cogliere delle tenui sfumature verdastre, azzurre o più raramente rossastre, su alcuni oggetti, come la nebulosa M42 in Orione. Per sperare di riuscirci però occorre oltre ad un cielo molto terso e buio anche un occhio molto ben allenato e adattato alla visione notturna. Riuscire nell’impresa ci regala una magia aggiuntiva all’osservazione diretta dei corpi celesti.

L’osservazione visuale ci potrà regalare delle soddisfazioni indimenticabili, ma è una cosa che bisogna anche conquistare imparando ad usare e conoscere sia il proprio telescopio ed il proprio occhio, che le tecniche più efficaci.
Per aumentare il fascino dell’osservazione, quando sarete sotto un bel cielo stellato, provate anche a pensare che la luce che ci sta raggiungendo in quel momento è partita molto prima.  Dalla luna circa un secondo prima (poca cosa), ma già dai pianeti si parla di decine di minuti, per le stelle anni o migliaia di anni, e per le flebili nebulosità delle galassie addirittura  miliardi di anni.  Un messaggio che viene davvero da molto lontano sia nel tempo che nello spazio!

Aggiungiamo  alcune note pratiche:  nell’osservazione notturna sono assolutamente da evitare gli alcolici, che peggiorano decisamente la visione in scarse condizioni di luce, preferendo alimenti o bevande calde e zuccherate. Ricordatevi poi che rimanere immobili ad osservare di notte richiede un abbigliamento adeguato e ben superiore a quello che adotteremo normalmente per muoverci nella stessa situazione. In inverno sono consigliabili giacche a vento ben imbottite e  pantaloni imbottiti impermeabili da indossare sopra un abbigliamento invernale, vestendosi comunque “a strati” in modo da poterlo ottimizzare per la situazione.  Calzamaglia, moon-boots, berretti e guanti ben imbottiti e isolanti…aumenteranno la nostra resistenza nelle nottate più fredde.

 

comete

A sinistra la cometa West osservata dall’autore il 25 marzo 1976 da Padova con un rifrattore da 11 cm; a destra la testa della cometa 1996 B2 (Hyakutake) osservata il 25 marzo 1996 con binocolo 20x80 mm da cima Grappa nel momento di massimo avvicinamento alla Terra. La chioma si estendeva per circa 2 gradi, la coda per oltre 40 gradi e la cometa ad occhio nudo appariva l’oggetto dominante sulla volta celeste.  Le colorazioni giallo caldo, della luce riflessa dalle polveri,  e verde, delle emissioni gassose della chioma, erano  evidenti già al binocolo grazie alla elevata luminosità della cometa. Per la vicinaza dell'oggetto anche il lento spostamento tra le stelle poteva essere immediatamente percepito al binocolo.


4. Quanto può vedere l’occhio? E quanto è affidabile?


Una questione che ogni tanto sale alla ribalta è quanto in profondità riesca a vedere l’occhio e nascono insensate competizioni tra visuale e osservazioni digitali per certificare un primato del primo sul secondo.  La cosa si ripropone soprattutto in caso di eventi particolari, alimentato dalla tendenza al mito dell’osservatore “dall’occhio bionico”.  
A volte sono state osservate code di comete di straordinaria lunghezza (ma fisicamente impossibili), a volte oggetti troppo deboli od elusivi…ed osservati  a volte in posizioni errate.  
Purtroppo (o per fortuna) la tecnica fotografica a lunga posa ieri, e oggi ancor più i sensori CCD, pongono seri limiti a queste osservazioni fornendo dati oggettivi.
L’occhio può battere una ripresa CCD a lunga posa? Certamente no. E nonostante ci siano alcuni casi apparentemente positivi, non c’è nessuna prova realmente attendibile che dia conferma.
Un serio osservatore visuale dovrebbe sempre essere cosciente che la suggestione è spesso in agguato.  E un osservatore che nella sua vita non abbia mai preso un abbaglio è piuttosto sospetto.   
Casi storici, come quello dei canali di Marte, o illusioni ottiche (classici trompe l’oile) ad esempio sulle osservazioni lunari, dovrebbero suggerire cautela, ma la memoria è corta, e la voglia di primeggiare comunque, spesso troppa.  
Emblematici anche i casi di osservazioni di minimi di stelle variabili ad eclisse, dove i minimi sono stati osservati anche quando si è poi scoperto che la data ed ora di previsione del minimo era completamente errata. O anche osservatori di comete che non notavano variazioni anomale di luminosità continuando a stimare valori simili a quelli previsti nelle effemeridi e che si accorgevano della variazione con molto ritardo, quando ormai la notizia era circolata.  

C’è chi falla in buona fede, ma non si può escludere che qualcuno abbia giocato anche d’astuzia: se uno finisce con l’essere universalmente accreditato come osservatore dalla vista eccezionalmente acuta (un “superman astronomico” con la vista a raggi X), chi può contraddire visualmente la sua irraggiungibile osservazione ?
Ovviamente i moderni mezzi digitali possono molte volte tagliare la testa al toro, ma la voglia e l’illusione che l’occhio possa sempre vincere continua ad affascinare.   Naturalmente è fisiologicho che ci sia chi ha vista più acuta e chi meno. Al riguardo ricordo con affetto e simpatia Mauro Vittorio Zanotta, l’ultimo scopritore di comete visuale italiano prematuramente scomparso,  un osservatore dalla vista estremamente acuta e molto allenata dalle lunghe nottate di caccia agli astri chiomati. Comete per lui facili di solito per me erano già oggetti che richiedevano un po’ di attenzione.
Tra gli effetti strumentali, oltre alle condizioni del cielo ed alle caratteristiche del telescopio, va considerato l’osservatore, la sua eventuale stanchezza, le sue aspettative e stato d’animo o di salute. Tutto può portare ad alterare il risultato dell’osservazione.

Errare è umano, e nel visuale lo è ancora di più, ma se ci avviciniamo ad un ambito scientifico, come quello dell’astronomia, occorre porsi con un atteggiamento più onesto e obbiettivo possibile. Cosa oggi inattuabile a causa della martellante circolazione di immagini e informazioni sul WEB e dei conseguenti inevitabili condizionamenti e suggestioni, anche inconsci.

La condizione ideale di un osservatore dovrebbe essere paradossalmente di completa ignoranza sull’oggetto da osservare: nessun dato sulla luminosità o sull’aspetto. L’osservatore potrebbe così cercare di riportare fedelmente ciò che vede, senza farsi trasportare dall’immaginazione, suggestione o dalle informazioni ricevute. 

 

Cometa 19/P Borrelly - confronto

Un caso di test visuale effettuato casualmente in condizioni ideali riguarda la cometa periodica 19P/Borrelli, osservata da Cima Ekar nel dicembre 1994 dopo mesi di maltempo e senza avere alcuna informazione sull’aspetto e luminosità della cometa (internet era allora ancora ad un livello primitivo!).  Lo schizzo  (a sinistra - binocolo 20x80) effettuato velocemente dall'autore, pur approssimativo per le scomode condizioni di osservazione dovute al forte vento, riporta una insolita e inattesa anticoda, pienamente confermata un paio di ore dopo dalle immagini fotografiche riprese con il telescopio Schmidt dell’Osservatorio Astrofisico di Asiago (immagine a destra – Giannantonio Milani, Maura Tombelli, assistenza tecnica di Dalle Ave).

 


Senza ombra di dubbio possiamo affermare che l’osservazione visuale (quella D.O.C.) è la cosa più difficile da realizzare in assoluto.  Riprendere oggetti con tecniche digitali è divenuto ormai relativamente semplice, ma osservare visualmente, riportando con fedeltà e completa obbiettività ciò che è stato visto è davvero la cosa più difficile.

Questo ci fa apprezzare ancora di più l’abilità  degli osservatori che si cimentavano in un ambito davvero al limite delle possibilità umane.  Errori e abbagli, anche clamorosi, non sono mancati, ma facevano in qualche modo parte del gioco e del tentativo di spingersi ai limiti estremi e forse anche oltre.   Ma consoliamoci, gli errori (grossolani o madornali) a volte capitano anche oggi nelle moderne osservazioni digitali! Il fattore umano è sempre in agguato!  Ma, a differenza del visuale, nelle immagini fotografiche e digitali c’è fortunatamente sempre possibilità di un successivo controllo e verifica.

Il visuale nonostante tutto anche oggi rimane un vero e proprio sport estremo, fatto arrampicandosi  ad occhio nudo tra le stelle!  Uno sport reso ancora più arduo dalla difficoltà di trovare un bel cielo limpido, non inquinato da luci, foschia e smog.
Ma accessibile anche dai cieli cittadini se ci rivolgiamo agli oggetti più luminosi.  Ed è inoltre un approccio molto personale con il cielo: proprio per il coinvolgimento che comporta spesso lascia un ricordo molto vivo, e, soprattutto in caso di osservazione di oggetti molto particolari e spettacolari, guardando il nostro disegno a distanza di tempo rivivremo le sensazioni provate nel corso di quella notte di osservazione.  
Per certi aspetti il visuale è “fuori moda”.  Con la fotografia digitale si può fare molto di più e con maggiore comodità e facilità. Ma l’emozione che viene dell’osservazione diretta del cielo è unica e impagabile, e solo i nostri occhi ce la possono dare.

Luna


A sinistra la regione di Milichius disegnata da Alice Milani, alla sua prima esperienza di osservazioni e disegno lunare. A destra la Rupes Recta disegnata dall’autore. Osservazioni con un telescopio newtoniano da 20 cm di apertura.


Giannantonio Milani

Settembre 2014